VERSO L’ELITARISMO.
Per noi appassionati di pallacanestro non è una novità. La superlega, l’Eurolega appannaggio delle migliori, dei potenti è infatti già presente da 20 anni.
Lo scenario non è poi molto differente: le più forti e storiche realtà cestistiche europee si alleano, creando ULEB per fare pressioni economiche e non solo su FIBA. La spaccatura esplode nel 2000 quando ULEB registra il marchio “euroleague” lasciato colpevolemente scoperto da FIBA, e fonda la moderna Eurolega.
Per un anno ci fu una netta cesura e si arrivò all’insostenibile presenza di due competizioni europee del massimo livello e di due campioni d’Europa.
L’anno seguente il compromesso apparve come l’unica via praticabile, ULEB in una posizione di assoluta supremazia dettò le condizioni ed inglobò le velleità di FIBA.
Da allora le schermaglie non sono mancate, i dispetti e le minacce ambo le parti, ma l’Eurolega rappresenta da quel tempo una cerchia elitaria, un prodotto commerciale con luci e ombre ma senza dubbio un’offerta sportiva di primissimo piano nel nostro sport, seconda solo all’NBA.
11 squadre con diritto di partecipazione assoluto, non dipendente dal merito sportivo, 2 inviti e 5 accessi per classificazione nei campionati nazionali.
Non si può non notare la somiglianza con le dichiarazioni shock provenienti dal mondo del calcio in questi giorni. La superlega europea recentemente annunciata ha all’apparenza tutti i crismi della super competizione per elité e della provocazione dei club nei confronti delle federazioni e organizzazioni sportive.
Non è qui il luogo per disputare ragioni e torti di FIFA, UEFA e Club. Anche il più disinteressato saprà bene come nessuna di queste organizzazioni sia esule da responsabilità, da illeciti, lati oscuri e giochi di potere. L’aspetto che ci preme affrontare è il ruolo che in questa faccenda hanno le persone, i tifosi e le piazze.
Non si tratta di pura retorica, non si tratta nemmeno di slogan quali “lo sport è dei tifosi”. Si tratta a nostro parere di salvaguardare, anche nello sport professionistico, un ingrediente necessario: il sogno.
Comprendere che in un ambiente lavorativo in cui i dipendenti possono percepire decine di milioni di euro l’interesse sia una componente preminente è doveroso ma l’obiettivo di un atleta, di una squadra, di una franchigia DEVE essere primariamente sportivo, non finanziario. Non è accettabile che venga totalmente stralciato il merito, il desiderio di migliorare per raggiungere un obiettivo, una qualificazione o un trofeo.
Il primo pensiero va a quelle realtà sportive che fanno leva su programmazione, investimenti mirati e lavoro quotidiano per colmare il gap con Società più importanti, va a quei tifosi che sognano di compiere il miracolo, il capolavoro sportivo. Già lo si percepisce nella pallacanestro, dove l’approccio delle squadre di Eurolega nelle rispettive competizioni nazionali è per lo meno conservativo. Cosa ne sarà, se non ne saranno escluse, delle 12/15 super potenze del calcio europeo quando affronteranno le medie-piccole realtà nei vari campionati? Che valenza avrà per una città come Benevento, Parma, Crotone o altre, cercare di insidiare Milan, Inter e Juventus quando faranno la doverosa sgambata a mezzo servizio la Domenica pomeriggio? Cosa ne sarà della Domenica, destinata a divenire vassallo del Mercoledì o del Giovedì?
Lo sfogo diffuso di queste ore è comprensibile. Se non ci siamo resi conto che il denaro ed i profitti hanno inondato il mondo dello sport da decenni è miopia nostra, ma se lo sport di squadra professionistico tenderà, come pare, verso la consacrazione a prodotto televisivo fine a se stesso la situazione sarà e dovrà essere inaccettabile. I potenti dello sport fanno leva sul fatto che, superate le polemiche, tutti noi appassionati metteremo da parte le resistenze e guarderemo il loro prodotto che sarà inevitabilmente di altissimo livello, ed hanno ragione a pensarlo.
Diventa quindi emblematico come questa idea prenda forma durante una pandemia, con gli stadi vuoti e partite che hanno smarrito necessariamente lo scambio vitale tra campo e spalti. Non sappiamo se questa storica spaccatura andrà fino al capolinea o si cercherà un accordo come avvenuto nel basket, ma il campanello d’allarme è enorme e spaventa perché urla a gran voce che lo sport non è dei tifosi, degli appassionati, ma è dei padroni, delle banche e dei fondi di investimento.
A voi la prossima mossa.